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Le pietre raccontano storie dimenticate

Le pietre raccontano storie dimenticate

Le pietre raccontano storie dimenticate

All’altezza dell’incrocio tra via Nazionale e via Guglielmo Marconi, sul muro esterno del palazzo che fu dei Mandara, ancora oggi vi è una targa ben conservata.
Le pietre raccontano storie dimenticate. È il caso anche della lapide detta “delle inique sanzioni”.
In data 28 febbraio 1936 giunse a tutti i Comuni del Regno d’Italia una disposizione da parte delle Prefetture che recitava: “Il Gran Consiglio del Fascismo, con sua decisione del 16 novembre u.s. stabilì che sulle case di tutti i comuni del Regno fosse murata una pietra ricordo dell’assedio economico”. Si dispose che le pietre fossero eseguite in marmo bianco di Carrara, dando precise indicazioni anche sul modello, che doveva essere uguale per tutti i Comuni, mentre i formati variavano a seconda dell’importanza della città. Erano indicati anche i relativi costi e alle amministrazioni non restava che deliberare l’acquisto della lapide. Apparvero così sui muri degli edifici comunali italiani targhe recitanti le parole: “8 novembre 1935, XIV. A ricordo dell’assedio/ perché resti documentata nei secoli/ l’enorme ingiustizia/ consumata contro l’Italia/ alla quale/ tanto deve la civiltà/ di tutti i continenti”.

Ma a quale “assedio” esse facevano riferimento?

Alla campagna d’Etiopia, un conflitto armato voluto da Mussolini in nome del diritto a “un posto al sole” tra le potenze europee che si svolse tra il 3 ottobre 1935 e il 5 maggio 1936 e vide contrapposti il Regno d’Italia e l’Impero d’Etiopia. Condotte inizialmente dal generale Emilio De Bono, rimpiazzato poi dal maresciallo Pietro Badoglio, le forze italiane invasero l’Etiopia a partire dalla colonia Eritrea a Nord, mentre un fronte secondario fu aperto a Sud-Est dalle forze del generale Rodolfo Graziani dislocate nella Somalia italiana. Nonostante una dura resistenza, le forze etiopi furono sopraffatte dalla superiorità numerica e tecnologica degli Italiani e il conflitto si concluse con l’ingresso delle forze di Badoglio nella capitale Addis Abeba.
Furono compiute atrocità di ogni tipo, i soldati italiani erano stati fascistizzati e imbarbariti, perché si conducesse una campagna militare il più possibile radicale contro un nemico disumanizzato da rappresentazioni razziali e confessionali, che legittimavano ogni azione oltre i comuni principi del diritto bellico. Il razzismo e il disprezzo verso l’Etiope ne facevano un non uomo. E questo non uomo non era bianco, ma nero»
Fu un conflitto altamente simbolico, dove il regime fascista impiegò una grande quantità di mezzi propagandistici con lo scopo di impostare e condurre una guerra in linea con le esigenze di prestigio internazionale e di rinsaldamento interno del regime stesso.
Fu proprio nel 1935 che la Società delle Nazioni condannò l’azione e votò l'embargo contro l'Italia. Erano le cosiddette sanzioni, il blocco commerciale attuato dal 18 novembre 1935 che impediva forniture di armi e munizioni e vietava l'importazione e l'esportazione di merci necessarie al proseguimento dell'azione bellica. Il governo fascista denunciò l'iniziativa della Società delle Nazioni come un perfido piano per "soffocare economicamente il popolo italiano" e approfittò dell'occasione per dare vita ad una poderosa azione di propaganda contro quei paesi che cercavano di strangolare la patria in guerra. Fu dichiarata l'autarchia: l'Italia avrebbe fatto affidamento solo sulla produzione interna. Tuttavia esse non furono efficaci e l’Italia continuò la sua invasione. Nel 1936, la Società delle Nazioni revocò le sanzioni e riconobbe l’annessione dell’Etiopia all’Italia.

Non molto tempo fa, un’altra epigrafe, proveniente dal sito archeologico, era incastonata su questa parete, purtroppo adesso non c’è più e non ne conosciamo la sorte. Di essa parleremo separatamente.